La grande E

E di Erica. Il mio dono del danno (tanto per citare la psicoterapeuta che ha aperto il mio percorso di cura dall’anoressia). Le devo moltissimo. Ho imparato a conoscerla piano piano, parlando piano piano, piangendo piano piano, sorridendo piano piano. Poi abbiamo iniziato a stringerci la mano forte forte, in ascensore, vicino a tante porte e in fila.  Ma soprattutto alle nostre poltroncine. Ci separano tanti anni, tanti chilometri. Eppure ci sono dei momenti in cui è come se fosse qui accanto a me. Spesso mi capita di guardare le mie mani e rivedere gli esatti, tanti momenti, in cui quel contatto diceva mille parole. Ora che siamo distanti, non lontane, rimangono le parole. Le nuove parole e quelle che sono ben sigillate nel giardino segreto. Uscita dalla residenza tutto è finito sottosopra. Ingenuamente e scioccamente, immaginavo tutt’altra storia. Solo una persona, UNA soltanto è rimasta lì, sempre, una certezza. Ci crede più lei di me, più lei in me, di me, di altri. Sono qui che scrivo e mi commuovo. Mi accade per pochissime persone oramai. Per E, per F, che avrà un capitolo a se stante e per S che è un bambino e di lui ci si può fidare sempre.

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